La finalità nel pensiero medievale e moderno
Quando il concetto di finalità
viene ampliato oltre l'agire umano si utilizzano i termini finalismo o
teleologia, la cui dottrina filosofica, basata appunto sui principi di finalità
e causalità, concepisce l'esistenza di uno scopo o una causa sia nelle azioni razionali
dell'uomo, sia in tutto il resto che accade nell'universo.
Prima di individuare la presenza del
finalismo nel medioevo e nell’età moderna, è opportuno premettere che uno dei
primi filosofi a sviluppare la teoria del finalismo fu Aristotele, in
opposizione alla dottrina di Empedocle secondo cui l'evoluzione degli esseri
era determinata dal caso. Non è il caso, secondo Aristotele, a spiegare la
natura, ma il finalismo, che vale anche per il mondo inorganico dove ogni cosa
si dirige spontaneamente verso il suo "luogo naturale".
In epoca medievale ci fu un
grande sforzo per il recupero delle opere di Aristotele, attraverso la
traduzione in latino della maggior parte dei suoi scritti in greco o in arabo. Tale
attività durò all'incirca un secolo, dalla metà del XII fino alla metà del XIII
secolo. Le dottrine del filosofo trovarono punti in comune e punti di
disaccordo con i dogmi della Chiesa, che in quell'epoca aveva il monopolio
della cultura. Per il Cristianesimo il concetto di finalismo si identifica con
quello di Provvidenza. Tutta la natura, come nella concezione aristotelica, nei
suoi componenti, inorganici e organici, è intrisa di finalismo nei suoi vari
gradi ordinati gerarchicamente; in questo modo il resto del mondo mira a
servire l'uomo, che padroneggia la totalità della natura e la utilizza per
realizzare i suoi fini. D’altra parte, Aristotele ritiene che la finalità sia
estrinseca alla natura stessa, il cristianesimo invece la fa dipendere dalla provvidenza
divina: ogni cosa tende al proprio scopo nell’ordine voluto da Dio e l’uomo è
il fine del creato.
Nel XIII secolo, Tommaso
d'Aquino, nella sua Summa Theologica, riuscì a riconciliare i punti di vista
discordanti tra aristotelismo e cristianesimo. Dopo essersi posto il problema
se Dio esista, Tommaso passa ad indicare le sue famose “vie” per provare
l’esistenza di Dio. I cinque percorsi sono così denominati: dal mutamento, dalla
causalità efficiente, dalla contingenza, dai gradi di
perfezione e dal finalismo.
Nel nostro caso, la via più interessante
è l’ultima, che si presenta in questo
modo:
“La quinta via è desunta dal
governo delle cose. Vediamo infatti che alcune cose prive di conoscenza, come i
corpi naturali, agiscono per un fine, come appare dal fatto che agiscono sempre
o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: per cui è
evidente che raggiungono il loro fine non a caso, ma in seguito a una
predisposizione. Ora, ciò che è privo di intelligenza non tende al fine se non
perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia
dall‘arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente dal quale tutte le
realtà naturali sono ordinate al fine: e questo essere lo chiamiamo Dio.”
Se paragoniamo i concetti del
medioevo a quelli di un'epoca più moderna, troviamo che Immanuel Kant, nella
Critica del Giudizio, scrisse:
“Dire che si vede una finalità
oggettiva significa dire che si vede questo organismo come se venisse da un
piano intelligente diverso da quello dell’uomo. Comunque la distinzione tra
giudizi estetici e giudizi teleologici è che i giudizi estetici riguardano una
finalità soggettiva, un piacere soggettivo che però proviamo tutti, e i giudizi
teleologici riguardano una finalità oggettiva che può non essere bella ma
rivela una sua armonia, una sua finalità interna, una sua organicità.”
Questo tipo di finalismo è stato
definito come "esterno" perché ogni cosa spiegherebbe la sua stessa
esistenza con la finalità che le è stata assegnata verso uno scopo a lei
esterno; finalismo "interno" viene invece definito il finalismo
biologico che si basa sul principio che le parti che compongono l'organismo
hanno il fine immanente della propria conservazione.
Per contro, diverse menti eccelse
hanno espresso un orientamento di critica del finalismo, che si è concretizzata
nella storia della filosofia nelle correnti del determinismo e del meccanicismo.
In “Principia philosophiae”
Cartesio riprese le parole del poeta e filosofo latino Lucrezio: “Ex nihilo nihil fit, dal nulla viene nulla", secondo lui e Galileo la
pretesa del finalismo di spiegare la realtà era illusoria. Francesco Bacone
reputava il finalismo come un ostacolo per la ricerca sperimentale e nel Novum
Organon scrisse: “la natura non ha fini, solo l'uomo ne ha”. Infine,
il filosofo olandese Spinoza, nell’Ethica more geometrico demonstrata,
affermava che il finalismo, ossia l’idea che ogni cosa sia fatta per l’uomo, è
un grave pregiudizio nato dall’ignoranza e dalla naturale ricerca di vane
rassicurazioni. Egli riteneva che un’assoluta necessità dominasse nel mondo e
in Dio stesso.
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