giovedì 30 aprile 2020

Step 12

La finalità nel pensiero medievale e moderno

Quando il concetto di finalità viene ampliato oltre l'agire umano si utilizzano i termini finalismo o teleologia, la cui dottrina filosofica, basata appunto sui principi di finalità e causalità, concepisce l'esistenza di uno scopo o una causa sia nelle azioni razionali dell'uomo, sia in tutto il resto che accade nell'universo.
Prima di individuare la presenza del finalismo nel medioevo e nell’età moderna, è opportuno premettere che uno dei primi filosofi a sviluppare la teoria del finalismo fu Aristotele, in opposizione alla dottrina di Empedocle secondo cui l'evoluzione degli esseri era determinata dal caso. Non è il caso, secondo Aristotele, a spiegare la natura, ma il finalismo, che vale anche per il mondo inorganico dove ogni cosa si dirige spontaneamente verso il suo "luogo naturale".
In epoca medievale ci fu un grande sforzo per il recupero delle opere di Aristotele, attraverso la traduzione in latino della maggior parte dei suoi scritti in greco o in arabo. Tale attività durò all'incirca un secolo, dalla metà del XII fino alla metà del XIII secolo. Le dottrine del filosofo trovarono punti in comune e punti di disaccordo con i dogmi della Chiesa, che in quell'epoca aveva il monopolio della cultura. Per il Cristianesimo il concetto di finalismo si identifica con quello di Provvidenza. Tutta la natura, come nella concezione aristotelica, nei suoi componenti, inorganici e organici, è intrisa di finalismo nei suoi vari gradi ordinati gerarchicamente; in questo modo il resto del mondo mira a servire l'uomo, che padroneggia la totalità della natura e la utilizza per realizzare i suoi fini. D’altra parte, Aristotele ritiene che la finalità sia estrinseca alla natura stessa, il cristianesimo invece la fa dipendere dalla provvidenza divina: ogni cosa tende al proprio scopo nell’ordine voluto da Dio e l’uomo è il fine del creato.
Nel XIII secolo, Tommaso d'Aquino, nella sua Summa Theologica, riuscì a riconciliare i punti di vista discordanti tra aristotelismo e cristianesimo. Dopo essersi posto il problema se Dio esista, Tommaso passa ad indicare le sue famose “vie” per provare l’esistenza di Dio. I cinque percorsi sono così denominati: dal mutamento, dalla causalità efficiente, dalla contingenza, dai gradi di perfezione e dal finalismo.
Nel nostro caso, la via più interessante è l’ultima, che  si presenta in questo modo:

“La quinta via è desunta dal governo delle cose. Vediamo infatti che alcune cose prive di conoscenza, come i corpi naturali, agiscono per un fine, come appare dal fatto che agiscono sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: per cui è evidente che raggiungono il loro fine non a caso, ma in seguito a una predisposizione. Ora, ciò che è privo di intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall‘arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente dal quale tutte le realtà naturali sono ordinate al fine: e questo essere lo chiamiamo Dio.”



Se paragoniamo i concetti del medioevo a quelli di un'epoca più moderna, troviamo che Immanuel Kant, nella Critica del Giudizio, scrisse:


“Dire che si vede una finalità oggettiva significa dire che si vede questo organismo come se venisse da un piano intelligente diverso da quello dell’uomo. Comunque la distinzione tra giudizi estetici e giudizi teleologici è che i giudizi estetici riguardano una finalità soggettiva, un piacere soggettivo che però proviamo tutti, e i giudizi teleologici riguardano una finalità oggettiva che può non essere bella ma rivela  una sua armonia, una sua finalità interna, una sua organicità.”




Questo tipo di finalismo è stato definito come "esterno" perché ogni cosa spiegherebbe la sua stessa esistenza con la finalità che le è stata assegnata verso uno scopo a lei esterno; finalismo "interno" viene invece definito il finalismo biologico che si basa sul principio che le parti che compongono l'organismo hanno il fine immanente della propria conservazione.
Per contro, diverse menti eccelse hanno espresso un orientamento di critica del finalismo, che si è concretizzata nella storia della filosofia nelle correnti del determinismo e del meccanicismo.
In “Principia philosophiae” Cartesio riprese le parole del poeta e filosofo latino Lucrezio: Ex nihilo nihil fit, dal nulla viene nulla", secondo lui e Galileo la pretesa del finalismo di spiegare la realtà era illusoria. Francesco Bacone reputava il finalismo come un ostacolo per la ricerca sperimentale e nel Novum Organon scrisse: “la natura non ha fini, solo l'uomo ne ha”. Infine, il filosofo olandese Spinoza, nell’Ethica more geometrico demonstrata, affermava che il finalismo, ossia l’idea che ogni cosa sia fatta per l’uomo, è un grave pregiudizio nato dall’ignoranza e dalla naturale ricerca di vane rassicurazioni. Egli riteneva che un’assoluta necessità dominasse nel mondo e in Dio stesso.

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