sabato 30 maggio 2020

Finalità ed etica


Per evidenziare il ruolo centrale che occupa la finalità nell’etica si possono considerare alcune dottrine filosofiche e le differenze che presentano nelle loro tesi.
La teoria teleologica afferma che un atto sia giusto se è destinato a produrre una prevalenza di bene sul male almeno pari a quella di qualsiasi altra alternativa accessibile. In altre parole, in questa teoria il fine dell'azione è posto in primo piano rispetto al dovere ed all'intenzione dell'agente.
Secondo l’utilitarismo, il "bene" (o "giusto") consiste in ciò che aumenta la felicità degli esseri sensibili. Perciò un’azione buona è quella che abbia come scopo l’ottenimento di maggiore felicità, sia in senso qualitativo che quantitativo.
D’altra parte, secondo la teoria deontologica, il dovere e l'intenzione sono posti prima del fine dell'azione. Un esempio è Kant, che assegna alla logica, attraverso l'imperativo categorico, il dovere di determinare la correttezza o meno di un'azione. Le norme etiche, quindi, diventano imprescindibili e la legge non può essere condizionata da nulla che intervenga dall'esterno.
Una dottrina diametralmente opposta è quella del consequenzialismo. Essa determina la bontà delle azioni dal conseguimento di determinati scopi per i quali si possono trascurare le norme.
L’ultima dottrina da citare è quella probabilistica, cui facevano frequentemente appello i Gesuiti nel XVII secolo. Essa afferma che, nei casi in cui l'applicazione di una regola morale sia dubbia, per non peccare basterebbe attenersi ad una opinione probabile.

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